La messa a fuoco in fotografia è un concetto basilare, permette di avere un soggetto nitido staccandolo dallo sfondo, oppure avere un intero paesaggio definito e visibile su tutto il frame, ma allo stesso tempo è un concetto astratto che non esiste. Tutto il concetto di messa a fuoco è basato sull’errore dovuto ai limiti del sensore fotografico.
La definizione di profondità di campo
La profondità di campo è quell’area della foto in cui i soggetti risultano nitidi e ben definiti, senza nessuna apparente sfocatura. Oppure possiamo dire che è quell’area prima e dopo del piano a fuoco dove i soggetti appaiono nitidi, anche se non lo sono. Infatti il piano di fuoco è uno, e uno soltanto, aumentare la profondità di campo incrementa solo l’apparenza di messa a fuoco delle aree adiacenti. È importante sapere che:
Il piano di fuoco è sul sensore non al di fuori, quando muoviamo la ghiera della messa a fuoco stiamo di fatto spostando il piano di fuoco davanti o dietro al sensore.
Dall’immagine qui sopra risulta ben evidente il piano di messa a fuoco (la linea sottile celeste a sinistra), cioè quel piano (parallelo al sensore) dove tutti i punti che ne fanno parte sono a fuoco. Ho parlato di punti e di piano perché non stiamo parlando di entità fisiche che hanno uno spessore apprezzabile, ma di un piano con due dimensioni. Se il piano coincide con il sensore il punto sul sensore sarà il più piccolo possibile, se lo spostiamo avanti o dietro, come nell’esempio in alto, il punto sarà più grande.
Perché si parla di “area a fuoco”?
Dopo aver scoperto al paragrafo precedente che il piano di messa a fuoco di fatto non esiste in tre dimensioni, ma solo in due e si sposta prima e dopo il piano del sensore, ci viene naturale chiederci perché, alla fine, vediamo le foto a fuoco o meno e con profondità di campo diverse. Quello che vediamo dipende dal circolo di confusione del punto di luce sul sensore, non è questa la sede per spiegare il circolo di confusione, ma ci serve sapere che per la messa a fuoco è definito come l’effetto creato da un punto di luce sul piano del sensore.
Come vediamo qui sopra (da wikipedia) questo sarà di dimensioni minori in prossimità del piano di messa a fuoco e maggiore allontanandosi da questo. La messa a fuoco ideale è quando la luce raggiunge la dimensione di un punto, che per definizione non ha dimensione. Nella pratica ci sarà una dimensione, piccola, del punto di luce per cui l’occhio non riesce più a distinguere la dimensione del punto stesso, quindi all’occhio sembrerà a fuoco.
La profondità di campo in fotografia
Nella fotografia, prima dell’occhio, è il sensore che cattura la luce. Se ragioniamo per assurdo, ipotizzando un sensore con solo 6 pixel (3×2) è ovvio che questi saranno sempre a fuoco. Infatti la densità del sensore è così bassa che è impossibile catturare differenze tra cosa è a fuoco e cosa non lo è. Se invece parliamo di sensori più moderni, da 20, 40 o 50mpx è facile comprendere come questi riescono a catturare ben più dettagli di un ipotetico sensore da 6 pixel. Sensori con densità maggiore di pixel hanno un circolo di confusione a cui sono sensibili molto basso, quando ingrandiamo sullo schermo del computer un’immagine da decine di megapixel possiamo osservare con molta precisione aree non a fuoco, che con un sensore meno risoluto sarebbero a fuoco. Ragioniamo sempre per assurdo: immaginate di avere un sensore con risoluzione infinita, possiamo zoomare quanto vogliamo ma non troveremo mai il pixel e quindi neanche il piano di messa a fuoco, il circolo di confusione di questo sensore impossibile è zero, cioè un punto senza dimensione e quindi tutto è fuori fuoco. Da questo si deduce che quando osserviamo una foto a fuoco stiamo, di fatto, osservando una foto fuori fuoco ma con una proiezione della luce sul sensore (circolo di confusione) abbastanza piccola da non essere catturata dal sensore e quindi da risultare puntiforme, cioè a fuoco.